Accettazione dell’eredità

È sufficiente essere “chiamati a diventare eredi” per essere eredi a tutti gli effetti? Scopriamolo.

Sono stato nominato erede in un testamento. È deceduto un mio prossimo congiunto e sono chiamato alla sua eredità.

Che faccio, accetto?

Capita nella vita, purtroppo o per fortuna, di essere nominato erede in un testamento o di essere chiamato a diventarlo, per legge, in ragione del rapporto di parentela esistente con il defunto (o de cuius).

Ma è sufficiente, appunto, essere “chiamati a diventare eredi”, per testamento o per legge, per essere eredi a tutti gli effetti?

La risposta è no, poiché si diviene eredi e si acquista l’eredità solo ed esclusivamente con l’accettazione della stessa da parte del chiamato. In altre parole, la legge lascia al chiamato all’eredità la possibilità di scegliere se accettarla o meno.

La ragione di ciò sta nel fatto che – divenendo eredi – si subentra non solo nei diritti del defunto (proprietà, crediti, eccetera), ma anche in quelle che erano le sue posizioni passive (ad esempio obblighi o debiti), cosicché accettare l’eredità potrebbe essere in effetti sconveniente. E tanto più sconveniente in quanto l’erede si troverebbe a dover far fronte ai debiti del defunto non solo con i beni ereditari ma anche con i propri (salva la cautela rappresentata dall’accettazione con beneficio di inventario, di cui parleremo oltre).

La decisione circa l’accettazione o meno dell’eredità – per la quale vi sono dieci anni di tempo, a partire dalla data del decesso – è quindi scelta delicata e deve essere compiuta con particolare attenzione, anche tenuto conto che non è possibile (più precisamente, è nulla) l’accettazione parziale e che, una volta accettato, non è più possibile rinunciare.

Ma come si accetta l’eredità?

L’accettazione può essere di due tipi: espressa e tacita (art. 474 cod. civ.).

L’accettazione è espressa (art. 475 cod. civ.) quando è contenuta in un atto pubblico (si tratta in sostanza di una dichiarazione di accettazione da rendersi dinanzi a un Notaio o al Cancelliere del Tribunale) o in una scrittura privata (si pensi all’ipotesi in cui il chiamato all’eredità, in suo scritto, dichiari di accettare l’eredità o si qualifichi erede).

L’accettazione è invece tacita (art. 476 cod. civ.) quando chi è chiamato all’eredità compie degli atti che solo un erede potrebbe compiere e che fa quindi ritenere la sua volontà di accettare l’eredità.

Da sottolineare che quest’ultima previsione è particolarmente delicata e, in un certo senso, anche “pericolosa”.

Non sono infatti infrequenti i casi in cui il chiamato all’eredità si trova ad accettarla tacitamente senza neppure esserne consapevole, perché, ad esempio, riscuote il rateo di stipendio o di pensione o altre somme spettanti al defunto, provvede alla voltura catastale dei beni del defunto in proprio favore, propone un giudizio a tutela dei diritti già spettanti al defunto, eccetera (non costituiscono invece accettazione tacita la presentazione della dichiarazione di successione e il pagamento delle relative imposte, che sono considerate attività con natura e finalità puramente fiscali).

La giurisprudenza, infatti, ha chiarito che tutti tali comportamenti – assieme a molti altri –sono indici inequivoci della volontà di accettare e comportano, quindi, accettazione.

Si comprende quindi – alla luce di quanto sopra detto circa il subentro dell’erede (accettante) in tutte le posizioni, anche passive, del defunto – che occorre porre particolare attenzione ai comportamenti da tenere dopo la morte del de cuius, per non trovarsi (inconsapevolmente) esposti, con tutto il proprio patrimonio, anche al pagamento di tutti i sui debiti.

Ma esiste un modo per accettare l’eredità cautelandosi dalla possibilità di dover rispondere con tutto il proprio (dell’erede) patrimonio dei debiti del defunto?

La risposta è sì.

Infatti, accanto all’accettazione di cui fin qui abbiamo parlato (accettazione cd. pura e semplice), la legge – proprio per proteggere l’erede da eventuali debiti ereditari e perché non sempre è possibile stabilire fin da subito se accettare è economicamente conveniente – prevede la possibilità di accettare con una formula particolare, e cioè con beneficio di inventario (artt. 484 e seguenti cod. civ.).  

Questo tipo di accettazione deve essere effettuata in modo formale, con dichiarazione ricevuta da un Notaio o dal Cancelliere del Tribunale del luogo ove si è aperta la successione, e dà all’erede la possibilità di tenere distinto il proprio patrimonio personale da quello del defunto.

In altre parole, con questo tipo di accettazione (cd. beneficiata) l’erede non sarà mai costretto a pagare i debiti del defunto con il suo denaro personale (o comunque con i suoi beni).

L’erede cd. beneficiato dovrà compilare un dettagliato inventario dei beni ereditati (per il tramite di un Notaio o del Cancelliere) e dovrà seguire specifiche formalità, ad esempio, per vendere i beni ereditari, pagare eventuali creditori del defunto e così via. Il rispetto di tali “regole”, peraltro, è fondamentale perché la conseguenza della loro violazione è che l’erede decadrà dal beneficio e si troverà ad essere erede puro e semplice (e quindi, come sopra detto, esposto con tutto il proprio patrimonio per il pagamento dei debiti).

È molto importante sapere che, nel caso in cui il chiamato all’eredità sia in possesso di beni ereditari (si pensi ad esempio al figlio del defunto che continui ad usarne l’autovettura o alla moglie del defunto che continui ad utilizzare la casa al mare), è previsto un termine molto ristretto per procedere all’accettazione beneficiata. In tal caso, infatti, l’inventario deve essere fatto entro tre mesi dall’apertura della successione (cioè dalla morte) ed entro i successivi quaranta giorni l’eredità dovrà essere accettata con beneficio (o rifiutata). Se invece il chiamato all’eredità non è nel possesso di beni ereditari, avrà dieci anni di tempo dal giorno dell’apertura della successione.

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